Il rock, come si sa, è un fenomeno prettamente americano in parente stretto del blues, genere d'eccellenza della cultura afro-statunitense.
Il rock trasposto senza radici, specie in un Italia del dopoguerra, non sarebbe mai suonato autentico. E' non è stato così. Ma la musica italiana, la sua via, il suo rock, l'ha trovato.
I cantanti italiani più rappresentativi sono stati veri e propri poeti che trasponevano i versi in musica. Ma sopra ogni altro, c'è stato lui, il De Andrè che da defunto tutti osannano ma da vivo non hanno saputo apprezzare a sufficienza.
Un cantante capitato quasi per caso nel mondo della musica che conta, che sarebbe diventato un pessimo avvocato a suo stesso dire. Un cantante che detiene una dote incredibile, una capacità di scrivere in rima con una chiarezza di pensiero ed uno stile sopraffino.
Un cantante ma anche un musicista. Che pesca nella tradizione popolare, va alla ricerca di sonorità sempre nuove, sempre aperto a sperimentazioni, contaminazioni e collaborazioni.
Ma soprattutto un poeta mai scontato, che canta il disagio e non il benessere e lo sfarzo.
Una persona che, vittima delle debolezze della natura umana, ci ha lasciato troppo presto, quando aveva ancora molto da dirci e raccontarci
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